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Cavie nel laboratorio dell'immaginario

(Nostro servizio)

VENEZIA, 24 - "C'e un eccellente modo per prevenire le rivolte dei servi: ed e che non ci siano affatto servi". E' una frase di Denis Diderot (si trova nelle sue Osservazioni sul Nakaz ed essa fece andare sulle furie Caterina II di Russia), che rivela abbastanza bene lo spirito caustico e paradossale (per qualche aspetto preveggente) di questo filosofo-scrittore.

Uno scrittore straordinario, straripante, instancabile, - per oltre vent'anni prodigó la sua intelligenza al servizio dell'Enciclopedia - curioso e poliedrico, contraddittorio. Quindicimila pagine di scritti - quindici opere filosofiche, sette politiche, quattro teatrali, quattro estetiche, sette narrative - dicono non poco sull'operosita e sulla portata intellettuale di questo "mostro sacro" della cultura e della letteratura francese del Diciottesimo secolo.

"Jacques il Fatalista" scritto dal 1771 in poi, quando l'autore aveva circa sessant anni) e un'opera sul determinismo, sulla necessita del Caso. Un romanzo (non sembri strana l'appartenenza a questo genere, ma Diderot si rivelava sernpre un pensatore anche nelle opere letterarie e un letterato nelle opere speculative) che affonda le sue radici nelle teorie filosofiche di Spinoza e di Leibniz, ma che si aggancia sopra tutto al pensiero atomistico ed epicureo. Insomma, sia in "Jacques il Fatalista", sia in altre opere letterarie (come "Il nipote di Rameau"), Denis Diderot non puo fare a meno di mettere in luce le sue convinzioni e i suoi dubbi. Non puo, cioe, fare a meno di chiedersi che senso abbia parlare di azioni colpevoli o meritorie, in un mondo in cui si presume che la coscienza sia determinata esclusivamente dall'eredita biologica e, attraverso l'educazione, dalla societa. Ed e realizzabile, si chiede, una morale che non soggiaccia, mortificando deliberatamente gli impulsi naturali dell'uomo, alla repressione dei potenti? E ancora: com'e possibile conciliare il determinismo universale con la liberta di coscienza, la somma ineluttabile del condizionamenti con l'autonomia delle scelte?

Nel laboratorio dell'immaginario, Denis Diderot cala, con intenti scientifici, i suoi personaggi. Si tratti di uomini di cultura (come nel "Nipote di Rameau") o di un povero servo verboso (come in "Jacques il Fatalista"), egli li considera cavie e, innalzandoli al rango di modelli euristici, li analizza, li osserva, senza intervenire, da lontano.

Il dialogo (alla maniera di Platone) gli sembra ii mezzo piu cónsono per verificare, abbandonandosi a una scrittura disarticolata, in certo senso automatica, la validita e la consistenza delle ipotesi.

I suoi romanzi sono, infatti, pieni di dialoghi; levato l'incomodo del narratore, delle vere e proprie commedie. Sicche la trasposizione in scena del testo appare - a prima vista almeno - se non agevole, possibile.

Nel "Nipote di Rameau", per esempio, i due protagonisti del colloquio sono "lo" e "Lui" (e dietro a quei due semplici pronomi l'atteggiamento di un intellettuale impegnato e di un altro integrato) e nel romanzo in esame Jacques e il suo padrone.

La storia - se di storia si puo parlare in questo caso - e assai semplice. Jacques, ragazzo scaltro e intelligente, stanco del duro lavoro dei campi e stimolato dallo spirito d'avventura, abbandona la casa paterna e va a fare il soldato. Colpito a Fontenoy da una palla, che lo lascera zoppicante, corrotto dalla vita cittadina, che distruggera per sempre la sua semplicita primitiva, incline alla chiacchiera e al vino, egli andra a servizio, dapprima, da un capitano "spinozista", da cui apprendera la lezione del "fatalismo" ("Jacques diceva che il suo capitano diceva che quanto ci accade di bene e di male quaggiu stava scritto lassu", si legge all'inizio del romanzo) e poi da un nobile di provincia, anch'egli contaminato dall'esprit philosophique, in cui convergono scetticismo religioso e fiducia nel libero arbitrio.

Tutto cio, naturalmente, in conformita dei principi esteticidi Diderot (legati a fil doppio ai suoi principi filosofici), emerge durante la lettura, giacche la vicenda non e, come accade nei romanzi tradizionali, "teleologici", un fatto, un'azione, ma, come dice assai bene uno degli esegeti piu acuti dello crittore francese (Andrea Calzolari) "una condizione, con connotazione metaforica: il viaggio dialogato, o il dialogo viaggiante dei due protagonisti, Jacques e il suo padrone, che vanno non si sa bene dove, come tutti al mondo, e che intanto ragionano su quel che accade o che e accaduto o che potrebbe accadere, come tutt al mondo".

La commedia messa in scena dal Teatro Drammatico di Varsavia, con la regia di Witold Zatorski, segue nelle sue linee essenziali (sostanziali) il testo diderotiano. Tolto l' "io narrante" (l' autore) rimane il dialogo. Vivo, spumeggiante, divertente.

Anche qui, nella commedia di Zatorski (tradotta in polacco da Tadeusz Boy-Zelenski), come nel romanzo di Diderot, l'argomento centrale delia conversazione (spesso interrotta e ripresa dei due viaggiatori, e la narrazione dell'amore di Jacques per la bella Denise. Anche qui c'e la storia di Madame De La Pommeraye. Anche qui c'e l'episodio malizioso della giarrettiera, che e in certo modo emblematico, perche e l'inizio di un'"altra" storia, che Jacques non riuscira a raccontare mai.

Anche qui (ultimo scherzo dell'autore) ci sono tre "conclusioni" (o soluzioni possibili). E anche qui, al pari del romanzo - considerato metafora del mondo, esso non ha ne puo avere un ordine, ne un termine, ne una finalita -, si ritrovano quegli elementi di discontinuita e di pluralita (gli scarti, i vuoti, le interruzioni di una composizione complessa e polifonica) che caratterizzano, in genere, le opere di Denis Diderot.

Lo spettacolo (portato in scena a Varsavia con successo pili di trecento volte) si e avvalso di un gruppo di attori veramente bravissimi: spontanei e comunicativi, provvisti di doti acrobatiche e canore, e, nonostante la mancanza assoluta di scenografia e di costumi (soltanto panche e impalcature, qualche fioretto e un paio di stivaloni alla moschettiera), hanno saputo animare ii racconto, rendendolo sapido e visibile.

Un elogio particolare meritano i due protagonisti (Andrzej Szczepkowski e Zbigniew Zapasiewicz) e le deliziose giovani attrici (Magdalena Zawadzka e Malgorzata Niemirska) che hanno interpretato, con maliziosa grazia e abilita professionale, le vicende di numerosi personaggi.

Le musiche di Stanislaw Radwan (su parole tratte da Diderot, con piccole aggiunte del regista), ricche di motivetti orecchiabili, vivaci e malinconici a un tempo, hanno fatto il resto.

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